Sergio Dalmasso storico del movimento operaio. QUADERNI CIPEC e Altri Scritti
  

HOME      Archivio      Scritti, Video e Quaderni Cipec      


Archivio

Effettua una ricerca oppure sfoglia l'archivio per categorie


Ricerca:       



La Scuola di pace di Boves ricorda Luigi Tenco    Torna alle categorie

La Scuola di pace di Boves ricorda Luigi Tenco

La Scuola di pace di Boves ricorda Luigi Tenco

Un giorno dopo l’altro

 

Mi sono innamorato di te/ perché non avevo niente da fare.

Ho capito che ti amo/ quando ho visto che bastava un tuo ritardo/ per sentir svanire in me l’indifferenza per temere che tu non venissi più.

E lontano lontano nel tempo/ qualche cosa negli occhi di un altro/ ti farà ripensare ai miei occhi/ ai miei occhi che ti amavano tanto.

Sono versi di canzoni (molti parlano di poesia) di Luigi Tenco, cantautore forse sconosciuto ai giovani, ma che ancora suscita ricordi ed emozioni in chi ha la mia età.

Tenco nasce a Ricaldone, a pochi chilometri da Acqui terme nel 1938. Nel 198 l’addio alle radici piemontesi: la famiglia Tenco si trasferisce a Genova, prima a Nervi, poi nel centrale quartiere della Foce. Qui il giovane Luigi conosce i fratelli Reverberi, Bruno Lauzi, amicissimo e con lui in un complesso jazz, anche se molto lontano socialmente, quindi Umberto Bindi, di pochi anni in più e il più giovane fabrizio De Andrè. Poco più in là, in una sorta di boheme, vive Gino Paoli. Ancora oggi, a Genova, c’è chi si chiede quale sia stato il bar dove si incontravano gli amici che volevano cambiare il mondo.

La canzone italiana degli anni ’50 è ancora colma di motivi retorici e mielosi, di colombe che volano e di vecchi scarponi, di esaltazioni delle mamme che sono tutte belle, di amori eterni e struggenti che rimano sempre con cuori fedeli e spezzati. Trionfano gli acuti, le canzoni all’italiana, le adesioni totali ai principi dominanti (le case con pesciolini e fiorellini di lillà), di ricordi in tono patriottico di una guerra tragica, ma descritta in toni epici e mai neppur blandamente critici.

La donna è sempre madre e sposa; ancora nel 1958 Nilla Pizzi è Fra le tue braccia ancor, avvinta come l’edera, a respirare il tuo respir e ad offrire la sua gioventù in un supremo anelito, senza nulla mai chiedere.

E’ ovvio che in questo clima, gli interessi dei giovani si volgano alla musica d’oltre Oceano, al rock, veicolato dai 45 giri (nati nel 1949), poi dai juke box.

Tenco ama il jazz, suona il sax, in piccoli locali, nelle feste studentesche. Le prime registrazioni, con pseudonimi, lo vedono tentare, ancora così acerbo, l’impossibile confronto con la voce dolcissima di Nat King Cole.

Oltre alla grande musica americana, l’interesse per i grandi cantanti francesi, anticonformisti, spesso tesi a épater les bourgeois, con canzoni non commerciali, che non entrano nelle classifiche di vendita, ma che restano nella storia della musica. Se per Paoli il maggior riferimento é Brel e per De Andrè è, invece, Brassens, Tenco non ha una filiazione diretta (forse Boris Vian), ma il richiamo  al paese d’oltralpe è evidente in mille canzoni, più di ogni altra la splendida Io sì, magistralmente incisa da Ornella Vanoni e sempre censurata dalla RAI:

Io sì,/ che t’avrei insegnato/ qualcosa dell’amore/ che per lui è peccato

 

Dopo il liceo, il giovane “mandrogno”, trapiantato in Liguria, si iscrive ad ingegneria. Come per De Andrè, però, l’università, lo studio sistematico, ma non libero, la disciplina degli esami non sono il suo mondo.

La sua vita è la musica. Dal 1959, il contratto, come per tutti gli amici, con la Ricordi e il trasferimento a Milano. Qui qualche spettacolo in piccoli locali, l’amicizia con i quasi coetanei Jannacci e Gaber e i primi successi, anche se rivolti ad un pubblico “di nicchia”: Quando, Angela, Mi sono innamorato di te, Se stasera sono qui. In brani poco noti emerge tutto il  suo anticonformismo, da Cara maestra a Una brava ragazza:

Se tu fossi una brava ragazza/ alla sera, invece di uscire,/ andresti a dormire,/ al mattino, invece di dormire, andresti a messa

I suoi dischi vendono poco, mentre tra i giovani spopolano Rita Pavone e Gianni Morandi e arriva in Italia il beat. Quella dei genovesi sembra una introversione eccessiva, i loro temi, quasi crepuscolari, troppo quotidiani e colloquiali. Ancora oggi, la “scuola dei cantautori genovesi” (che non è mai esistita) e in cui, per temi ed accenti, è sempre collocato anche il friulano Sergio Endrigo, è identificata con la tristezza, con temi esistenziali non affidabili alle canzonette, allo scandalo della demistificazione dei grandi sentimenti e degli amori eterni: Mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare.

Nel ’62 l’ultima interpretazione cinematografica in La cuccagna di Luciano Salce, in cui Tenco recita se stesso, un giovane chiuso, solitario che ce l’ha con un mondo sbagliato. Sfuma per poco il ruolo principale maschile ne La ragazza di Bube (1963)di Luigi Comencini e quindi, forse, una carriera da attore.

Nel ’64 cambia casa discografica per cercare un pubblico più ampio. E’ la stagione delle splendide Ragazzo mio, Ho capito che ti amo (ancor dopo quarant’anni è quasi unica l’introspezione psicologica di Per un po’ ho provato in me l’indifferenza/ poi mi son lasciato andare nell’amore), Vedrai vedrai, confessione alla madre a cui promette che Un bel giorno cambierà, ma anche di ballate di critica ai costumi e alla falsa morale.

Nel ’66 il passaggio alla RCA, con la speranza di sfondare. Arriva la notorietà grazie alla sigla della serie televisiva sul commissario Maigret. Un giorno dopo l’altro è il suo capolavoro, musicale e poetico con notazioni uniche sull’esistenza, sul significato della vita. Alle spalle le tante letture, la tematica esistenzialista, forse l’ombra di un altro piemontese, anche lui diviso fra le colline e la città: Cesare Pavese. Segue Lontano lontano splendida lettura di quanto resti di un amore finito.

Vi è una breve fase di un “Tenco cantante di protesta”, con note e ritmi (non certo i migliori) diversi dai suoi tradizionali. E se ci diranno, Ognuno è libero, sino all’autoritratto musicale di Io sono uno.

Una delle sue rare apparizioni televisive lo mostra circondato da giovani, quasi diviso tra la canzone di denuncia e le note struggenti di Vedrai vedrai, eseguita magistralmente al piano.

La decisione di andare al festival di Sanremo, in una sagra musicale opposta al suo carattere, nasce dalla speranza di conquistare il grande pubblico, di lanciare una musica nazionale che utilizzi il nostro grande patrimonio, il folclore e lo inserisca nel sound moderno.

E’ la speranza di sfondare, la certezza di essere sulla buona strada, quella che porterà alla modificazione della canzone italiana. Con lui Dalida, cantante italo- francese, allora popolarissima. La canzone scelta è adattata al festival e non è certo tra le sue migliori. Terrorizzato dal pubblico la interpreta male. La canzone è eliminata da giurie distratte e forse condizionate.

Quella notte, tra il 26 e il 27 gennaio 1967, Tenco muore. Le indagini vengono subito chiuse con la versione del suicidio. A distanza di 36 anni la polemica continua e molti continuano a parlare di omicidio e a mettere in luce le mille incongruenze del caso.

Se ne va un cantante che ha lasciato capolavori, alle soglie della fase più creativa.

A Sanremo ogni anno, il festival Tenco contrappone la canzone d’autore a quella bolsa e commerciale. Il paese in cui è nato e che tanto lo ha segnato, Ricaldone lo ricorda con incontri e concerti. L’Università di Genova gli ha giustamente dedicato un convegno.

Quello della Scuola di pace di Boves è un giusto omaggio ad una grande voce della nostra canzone: proiezione di un video, conversazione con Mario Dentone, autore di una bella opera teatrale sul cantautore genovese di cui l’attore Luca Occelli reciterà un brano. Quindi le sue canzoni, ricordo struggente per chi le conosce, scoperta, spero, per i giovani.

 

 

 

Vediamoci a Boves, venerdì 7 novembre.

Sergio Dalmasso.